La musica è l'unica cosa che interessa davvero a Spineless. Dopo i porno degli anni '90 e sfogliare i volanitini di MediaWorld mentre fa colazione, s'intende. Spineless pensa di saperne, di musica, nel senso che ne ha ascoltata tanta e ormai ha più o meno deciso cosa gli piace e cosa gli fa schifo sul serio. Mica poco, al giorno d'oggi. Tipo che gli piacciono i Radiohead e gli fa schifo il reggae. Tipo che non sopporta Spotify, ma è un drogato di mp3. Pensa che il flac sia pubblicità ingannevole ed è pronto a dimostrarti che un CD si sente meglio di un vinile.
La canzone più strana del disco più strano dei Radiohead. Il grande fraintendimento che, da più di vent'anni, avvolge Treefingers, svelato.
La storia di Kid A, ovvero il resoconto di un esperimento fallito, almeno nelle intenzioni. Anzi, no. O comunque, per fortuna.
Fluido mica nel senso che avete pensato voi, brutti maiali. Fluido nel senso di aperto all'evoluzione. I Baroness con Gold & Grey dimostrano che non è un ossimoro.
La storia di Windowlicker e del suo video, ovvero le ragioni del perché vent'anni fa, dovunque ti girassi incontravi il brutto muso di Aphex Twin. Citofonoare a Chris Cunningham per ulteriori chiarimenti.
So che il vostro cuore nero vi porterà a negare l'evidenza, ma qualcuno doveva pur dirvelo: anche i Joy Division hanno scritto una ballata. Si chiama New Dawn Fades.
I Therapy? tornano in Italia per due date in croce ed è subito 1994. Più o meno. Del perché una band del genere può avere il suo senso anche dopo trent'anni. Attenzione: contiene punti interrogativi.
Più che un semplice gran bel disco, Good Morning Spider di Sparklehorse è stato qualcosa di più: un primo (e inutile) tentativo di rimettersi in piedi.
Matthew Dear è un tipo buono per tutte le stagioni, a suo agio sia durante un compleanno di bimbetti che in mezzo al porcaio di una festa d'addio al celibato.
Poche band sono state associate a una canzone come gli Steppenwolf con il tema portante di Easy Rider. E pensare che, tecnicamente, manco l'avevano scritta loro.
Chi era Daniel Johnston? Il mito frainteso del più grande outsider del rock americano raccontato come una dolceamara favola folk underground. E tutti i danni collaterali che si è portato dietro la cosa.
Vessels, Grizzly Bear, Lali Puna, Com Truise e Joahnn Sebastian Punk: cinque pezzi che l'algoritmo probabilmente non vi suggerirebbe, e invece potrebbero essere la colonna sonora della migliore mezz'ora della vostra giornata.
Una pillola anticomiziale a base di Algiers, per quando vorresti fare la rivoluzione ma il culo ti pesa troppo e non riesci a staccarti dalla sedia, e allora la fai col culo degli altri.
Tu quoque, Kristoffer Rygg? Ovvero di quello che tocca fare a ex black metal band norvegese per tirar fuori il miglior album della proprio carriera. Tipo ammazzare Giulio Cesare.
Un'innocente domanda sui Facebook meme in generale, a partire da quel giochetto sui dieci gruppi che avete visto dal vivo. E non fingete di non sapere di cosa stiamo parlando.
Con il loro nuovo disco gli australiani PVT provano a non lasciarsi incasellare in nessuna corrente specifica o movimento artistico strutturato, definendo una nuova geometria vetero-modernista.
Uno psicotico antidepressivo a base di Flaming Lips, per attenuare lo shock da rientro nel confronto con la vita quotidiana, perché se la realtà è quella che è allora è tempo di farsi un viaggio.
5 dischi usciti nel 2016 che ci cantano dentro in italiano. Perché va bene non discriminare, ma si sa: le parole sono importanti, e capire fischi per fiaschi è un attimo.
Lasciare mai, quest'anno si raddoppia: ecco le 60 canzoni che ci son piaciute di più (a Spineless) nel 2016, in un podcast mixato: quattro ore ininterrotte di musica che vi faranno superare indenni anche il solito Capodanno.
30 dischi usciti nel 2016 che ci son piaciuti (a Spineless) parecchio: l'inutile, inconsulta classifica di fine anno a suo insindacabile e non richiesto giudizio. Incredibile a dirsi, senza nemmeno un morto dentro.
I Sex Pizzul ci regalano la copertina dell'anno, votata all'unanimità, da tutti i campi collegati: un album da ascoltare con la radiolina, minuto per minuto. Interruzioni solo in caso di gol o risultato finale.
Il quarto disco dei Black Mountain è un lavoro visionariamento confuso come un mercatino delle pulci: una camicia di jeans della Standa, il casco di Giacomo Agostini e molta altra carne al fuoco.
Il nuovo disco degli Wild Beasts potrebbe essere il perfetto incrocio tra Metropolis di Fritz Lang e Drive In (sì, il buon vecchio programma di Italia 1): intransigenza e lustrini, sobrietà e caciara.
Un sedativo a base di Hope Sandoval, per riequilibrare l'impatto di qualunque onda sulle nostre giornate e trovare il volume giusto per compensarne la risacca.
Il nuovo di Anohni è un disco che ha perso qualche lettera (o nota, che dir si voglia) per strada. Un disco, come dice il titolo, senza speranza: la speranza di imparare come si scrive quello che l'ha composto.
Due spettri si aggiravano per l'Europa dell'Est e ora hanno sfondato anche a Occidente. Dalla ex Jugoslavia ecco i 2Cellos che, senza vergogna, infestano il limbo inesplorato tra musica classica e hard rock.
Delusione per il terzo album dell'enfant prodige dell'elettronica d'oltremanica: James Blake ci presenta un disco sbiadito e stinto, frutto di un imperdonabile errore di candeggio.
Un ipnotico a base di Adrian Nicholas Matthews Thaws, per imparare a sfangarsela giorno per giorno, un giorno alla volta, senza guardare troppo avanti, che oggi è già abbastanza.
E qui invece per quest'anno ci fermiamo a trenta: le 30 canzoni che ci son piaciute di più (a Spineless) nel 2015, in un podcast mixato: due ore ininterrotte di musica che in un mondo ideale dovrebbe andare in rotazione fissa su Radio 1.
30 dischi usciti nel 2015 che ci son piaciuti (a Spineless) parecchio: l'inutile, inconsulta classifica di fine anno a suo insindacabile e non richiesto giudizio. Ma non chiamatelo Best Of, che chissà quanta altra roba bella manca.
Quel disco famoso degli Smashing Pumpkins e tutta la tristezza dell'anniversario di un'era, piuttosto che di un qualunque album.
Un'oppioide a base di Vessels, per quando scavare sul fondo del barile e infilare la testa sotto la sabbia e far finta di niente è l'unica soluzione praticabile.
Un antipsicotico a base di Gengahr, per superare le indecisioni di una stagione lunatica come la vita e trattenere il fiato in attesa di un meteo se non proprio più indulgente, almeno più prevedibile.
Un'analisi fin troppo approfondita del fenomeno Harp Twins, tra cosplay e metal, tra instagram e Medioevo, ma sempre e rigorosamente oltre la soglia del ridicolo.
La nuova frontiera delle classifiche di fine anno: retrospettive in avanti per una follia figlia di questa irrimediabile crisi d'astitenza dal futuro.
Una pillola ipnotica a base di Alt‑J, per quando vi renderete conto che state svanendo lentamente ed è già troppo tardi. Per rallentare il processo, o renderlo più sostenibile, almeno.
Le GIF non muoiono mai, anzi, per natura, danno vita a immagini statiche. Ma fino ad oggi nessuno aveva avuto la brillante idea di applicare il concetto alle cover dei dischi più famosi.
Cracovia come Cavriago, piccole Pietroburgo. Solidarnosc e ebraismo, arte concettuale e post-comunismo in un omaggio agli Offlaga Disco Pax, dove anche Lenin finisce le lacrime per piangere.
Un anestetico a base di Faint, per rimpiagere sul latte versato e tentare un'operazione last minute di rimozione totale del dolore, senza nessuna garanzia di riuscita dell'intervento.
Il progetto grafico Swissted del designer newyorkese Mike Joyce riesce a far convivere typography design d'oltralpe e musica indipendente: arte minimale e raffinata per nerd musicali incalliti.
Un anestetico a base di Shearwater, per trasformare ogni addio in un arrivederci, ogni falsa speranza in un appuntamento da non perdere, ogni mezza verità in un giuramento di sangue.
Un antipsicotico a base di Neon Lights, per combattere la comune credenza che divertirsi sia obbligatorio e che musica e ballo vadano per forza a braccetto. Su, non scherziamo.
Un oppioide a base di Flunk, per quando la calda, appiccicosa, umidissima afa estiva ti lascia privo di sensi e arrivare al tramonto pare un'immobile utopia polare.
Elogio della pirateria digitale, emozioni a 128k e sharing di ricordi partigiani a banda stretta: per tutti quelli che hanno vissuto sulla loro pelle e non dimenticano il mondo prima dell'ISDN.
Ci dispiace dirlo, ma il nuovo disco di David Bowie altro non è che un misero riciclo dei fasti passati, una geniale minestra riscaldata, e pure col minimo sforzo. Shame on you, Duca Bianco!
Un anal-gesico a base di Munk e Peaches, per una nuova terapia del dolore che coinvolgerà principalmente, vostro malgrado, il delicato, innocente fondoschiena.
Un viaggio ad accesso casuale nell'universo Daft Punk, attraverso collaborazioni, remix e cover. Un successo annunciato, anzi no. Chiedete a quel tizio del Melody Maker.
Il progetto di Paul Lamere porta il nerdismo musicale su un altro livello. Ecco un jukebox dove se la tua canzone non c'è, puoi caricarla, ascoltarla quante volte vuoi, sezionarla e crearne innumerevoli versioni.
Una giovane band di rocker lombardi intrappolati (speriamo per sempre) in un mondo affascinante ma infame, ispirato alla nuovissima collezione LEGO: Legends of Chima.
Un antidepressivo a base di Daughter, per quando la neve si fa sabbia o viceversa e tutto quello di cui hai bisogno è una voce che ti dica che anche se niente va bene, va bene lo stesso.
Natasha Kahn si regala al pubblico come mamma l'ha fatta in un album che già dal titolo riporta in auge un femminismo mai sopito. Alla faccia di Francesco Bianconi: patriarcato, scànsate!
I Mouse On Mars tornano indietro dal futuro per raccontarci, con il loro nuovo lavoro, come la comunicazione linguistica cambierà in breve tempo. Anzi, come è già cambiata.
Una recensione affrettata che svela i pochi, semplice passi con cui i Godspeed You! Black Emperor sono riusciti ad ammaliare sotto traccia le giovani generazioni indie.
Malcom Middleton si libera finalmente del fantasma di Aidan Moffat e degli Arab Strap dando vita a Human Don't Be Angry, il suo progetto più giocoso, nostalgico e spensierato.
Soap&Skin torna con un album che non lascia spazio a trucchi di make-up e ti si presenta alla porta di prima mattina proprio così: al naturale, acqua e sapone.
Con il loro secondo album gli XX riescono senza particolari sforzi a bissare i risultati del loro debutto e a ripetersi, proprio letteralmente, per filo e per segno.
Un disco che è un vero e proprio mistero questa ottava fatica degli Archive. Qualcuno ha chiesto un riscatto? Dove saranno finiti? Se avete informazioni, telefonate al numero in sovraimpressione.
Una tragica storia di dipendenza, scambi di persona e domande irrisolte: l'ennesimo dramma del rock, Ed Sheeran nei panni dell'ennesimo giovane fregato da un successo troppo rapido.
Un disco che entrerà nella storia della psichiatria, quello delle due sorelle Nicole and Natalie Albino, ma non certo in quella della parrucchierìa.
Calendari, apocalissi, coincidenze, date, numeri, nomi e cuori incrociati. Cosa c'entrano i Maya con i Radiohead? E i R.E.M. con Carlo Lucarelli? Paura, eh?
Frank Ocean si mette in proprio con un omaggio alla grande Olanda di Cruyff: un disco in tinta unita, senza l'ombra di una sfumatura e ricco di vitamina C.
Il primo (e forse ultimo) lungometraggio di David Longstreth: un film adatto alla visione da parte di minori, a patto che i minori in questione siano completamente strafatti di LSD.
Primo full-lenght per i Redrum Alone, smanettatori folli dalla Puglia profonda: un disco che aiuterà gli esperti di antropologia quando portano i loro bambini allo zoo comunale.
Cantiamo la bella stagione al ritmo della risacca, lungo la quale facciamo la guerra per non fare l'amore e il grunge, zuppo di sabbia e sale, ci lascia le penne.
La solidità granitica del rock'n'roll, tra succhi di frutta, radio e televisione. Un mondo diviso in due, dove devi scegliere da che parte stare, e pregare non sia quella sbagliata.
Seconda uscita sulla lunga distanza per Santigold: un disco imperiale e imperialista che prova a resuscitare un maestro del neoclassicismo.
A sette anni di distanza tornano i Saint-Etienne: un disco che fatica a trovare una direzione precisa, perso, senza campo e connessione dati e ormai più incapace di leggere una mappa cartacea.
Nuovo esperimento social-musicale per i Dirty Projectors. Sei abbondatemente sovrappeso e vuoi imparare a suonare la chitarra? Ecco il disco che fa per te.
Laetitia Sadier torna a viaggiare da sola con questo secondo album a suo nome: un disco dove il confine tra burloneria scherzosa e maleducazione è molto labile.
Album d'esordio per il duo canadese Trust: un'inspiegabile avversione per le vocali e per il gusto nelle scelte di make-up.
Gli emiliani Portfolio esordiscono sulla lunga distanza con un album fuori dal tempo: un misto di vintage, tenerezza e sfruttamento minorile domestico.
La nuova collaborazione tra due mostri sacri della musica sperimentale contemporanea non dà i risultati sperati. Nel senso che proprio non si realizza. Probabile che uno dei due abbia sbagliato indirizzo.
Il nuovo disco di Mike Shiftlet guarda al futuro con inaspettato coraggio e fiducia nei propri mezzi, senza la minima paura di scoprire in anticipo il proprio destino o anche solo quello a cui andrà incontro.
È proprio vero che quando ti serve un lavavetri il semaforo è sempre verde. Come conferma Matthew de Zoete alle prese con il photo shoot per il suo ultimo album.
Gli ex Morning Benders virano sul pop nella sua accezione più eclettica e confusa: troppe influenze senza capo né coda, se non altro dichiarate fin dalla copertina.
I Foals selezionati da !K7 Records: basta DJ e indie rock con le chitarre. I mixtape ai tempi di Instagram: gattini tabagisti come se piovesse.
Secondo disco per i Kotki Dwa: rude, incontaminato, rupestre come l'orizzonte in fuga di una poesia di Montale a picco sulle bianche scogliere di Dover.
Gli 883 e la nuova compilation Con Due Deca: ovvero l'arte di sedersi lungo il fiume e saper aspettare che passi il proprio successo quasi postumo, in Paese dove, prima o poi, si rivaluta tutto.
Sessanta playlist, una al mese, andate perse nell'etere come lacrime nella fibra ottica, direbbe il poeta cyberpunk. Mixtape virtuali di quei bei i tempi in cui internet uccideva il copyright.
Un dialogo col ritornello sulla punta della lingua. Un quiz musicale faccia a faccia. Un Lascia o raddoppia? di nicchia. Il Canzoniere dei poveri. In conclusione: modestia a palate.
I mille significati dello stare, il rimanere fermi come unica, vera, direzione ostinata e contraria, soprattutto quando intorno a te tutto si muove. Tipo questo vento porco.
Un mistero apparentemente irrisolto, degno di Chi l'ha visto?, svelato con la nonchalance di un giocatore di poker consumato durante un concerto in un locale indie di Milano.
Un concerto che inizia la sera della fine del mondo e finisce sette anni dopo. Una traversata, cadenzata sul ritmo di un disco troppo presto dimenticato. Un'amicizia sospesa, tra i suoi trucchi e i suoi rituali. Un remix fatto con i ricordi, i ricordi di uno che non sa smettere.
L'ennesima ammissione di inadeguatezza di fronte al bello nel suo senso più complesso. I Sigur Rós al Giardino di Boboli: un concerto difficile da raccontare anche se ne varrebbe la pena.
Hai presente quando non ce la fai? Cioè, quando non sai se ce la puoi fare o no, se ce la vuoi fare o no. Cosa è meglio fare e cosa no. Hai presente un concerto dei Radiohead? Ecco, ci siam capiti allora.
Il mondo, il fumo, il rimto e le candele. Scopri cosa hanno in comune, o almeno cosa avrebbero in comune se tutto andasse come dico io, se davvero avesse ragione quella canzone là.
I dEUS di Suds & Soda: rivederli tutti così, gli applausi che ti scappan dalle mani e uno dei pezzi rock più belli di sempre. Chissà cosa mangiavano, in Belgio, a quei tempi.
Faceva una specie di freddo, ma c'era quella vecchia canzone dei Pavement a scaldare un guscio ovattato in cui rinchiudersi: quella musica che va ma non arriva mai, così dimessa, come una piazza. E niente altro.
I Soulwax e il loro album di remix, quello con quel titolo lunghissimo che bisongna prendere fiato per dirlo tutto e che potrebbe creare non pochi problemi nella vita reale. Un caso di studio.
Il live report più corto della storia, giusto per sottolinare una delle più sadiche declinazioni moderne della più vecchia delle torture, vecchia quanto il mestiere più vecchio del mondo.
La storia intima di una specie di omaggio confuso a una delle canzoni della vita. La storia triste di quando il potere alla parola (ma per favore) fa solo rima con rumore.
Una collezione di CD e uno che non sapeva fare le recensioni, quelle perfide, sottilmente sarcarstiche e dolorosamente chirurgiche, perché alla fine ci trovava sempre qualcosa di buono.
Perdere e ritrovare la fiducia in se stessi a un concerto di una band d'oltremanica. Ovvero sentirsi fuori posto e non avere rimorsi, nemmeno col senno di poi.
La gente, non c'è verso di fargli capire le proprietà terapeutiche della malinconia. Che è convinta che la musica serva per tirarsi su e addirittura per ballare, la gente. Io non mi capacito proprio.
Nozioni base di acustica anche per voi che non ve ne potrebbe fregare di meno. Perché sapere come tirar fuori le gambe da tutto il mucchio di armoniche che ci circonda può sempre far comodo, nella vita.
Ormai dovreste averlo capito, chi governa il mondo. In caso contrario ecco che ricompare, come dal nulla, Jarvis Cocker a spiegarvelo. Con parole, diciamo, colorite.
Dreamt for the Light Years in the Belly of a Mountain può tenervi compagnia qualunque sia il vostro stato d'animo. Salvarvi la vita, forse. Almeno a voi.
Una mia vecchia teoria confermata da un intervista a uno che ne sa, di donne, parole, palchi e come vanno le cose nel cosiddetto music business.
Una storia di musica nera a profonda provincia, dove la fibra arriva a fatica ma i tecnici che dovrebbero installartela sono appassionati di musica, quella buona.
Tornano i Built to Spill con il nuovo You in Reverse. Soprattutto torna Dough Martsch, con quella sua faccia un po' così, quell'espressione un po' così.
Una storia breve di plettri, ritagli di giornale e indie-rock. Per concludere di nuovo che l'ottimismo è un lusso che non ci possiamo permettere.
Il mash-up portato all'estremo, per remixare audio e video contemporaneamente. Infrangere il copyright non è mai stato così facile. Parola di Sven König.
Riflessioni a caldo a seguito di un sorprendente concerto dei Gotan Project. Una specie di breve stream of consciousness emozionale, più che un vero e proprio live report.
L'arte del collage messa in musica: mash-up, taglia e cuci, copia e incolla. Greg Gillis ci serve la prima opera originale fatta interamente di roba rubata ad altri.
Indie-rock brasileiro ne abbiamo? Certo che sì, ed è una roba così pacchiana, assurda e fuori luogo da risultare quasi sexy. Almeno a detta loro.