Tu chiamale, se vuoi, emoticons

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Le faccine spiegate a quelli che ancora vorrebbero usare i suoni onomatopeici. Se non addirittura a quelli che son nati ai tempi della Torre di Babele e ancora rimpiangono l'antica Mesopotamia.

8 Febbraio 2007

La leggenda della Torre di Babele, io mi sa che la conosci già, caro utente poliglotta. Nel caso altamente improbabile in cui questa banale ipotesi si riveli clamorosamente sbagliata, te la riassumo io a grandi linee.

Insomma, a farla breve. Che poi a me di farla breve non mi riesce mai, però come mi vien facile di dirlo "a farla breve", che non faccio altro che dire a farla breve, io. Son quelle contraddizioni che rendono un uomo estremamente affascinante, dice mia nonna, ma non so mica se c'è da fidarsi, lei che s'è sposata a diciassette anni e sempre quello c'ha, di marito: mi sa che non c'ha avuto tutta questa possibilità di confronto, ma vabbè.

In Mesopotamia

Si diceva (che si voleva fare breve) che c'era quella storia là della Torre di Babele che vi vado or ora a riassumere: parla di un tempo assai antico, ma così antico che per spiegarlo a mio nonno quanto era antico quel tempo lì ho dovuto dirci, a mio nonno, che era prima di Berlinguer, ma che dico, addirittura prima di Mussolini.

  • No, non eri nato ancora nemmeno te.

Un tempo in cui la Mesopotamia era la culla della civiltà. La Mesopotamia quella che è un posto che ora non c'è più, da quanto l'hanno bombardato gli americani.

Ecco. Un bel giorno tutta questa bella gente decise di costruire una torre alta alta, fino a raggiungere il cielo e dunque Dio. Chissà perché poi: questo nessuno ce l'ha mai spiegato. Deve entrarci in qualche modo quella faccenda che quando non hai un cazzo da fare nella vita ti inventi le peggio cose per passare il tempo.

In quel tempo antico, lì, in Mesopotamia, vivevano tutti gli uomini della terra che, tra l'altro, parlavano tutti la stessa lingua, a quel tempo lì. Pensa che culo, caro utente incompreso.

Insomma anche ai quei tempi — come oggi del resto — si pensava che stesse da quelle parti, Dio. Dalle parti del cielo, dico. E allora costruiamo una bella torre per arrivar fin lassù. Ottima intuizione, visto che Dio stesso pare abbia confermato recentemente, in esclusiva alla schieratissima trasmissione A Sua immagine della RAI:

Se becco il paparazzo che ve l'ha detto lo fulmino. Però è vero: c'ho una garçonniére in quella zona, sì. Me l'ha venduta Briatore.

Forse anche per questo però, la cosa si è appunto rivelata un progetto evidentemente non troppo gradito all'onnipotente, che a quanto pare non voleva seccatori umani nel suo loft e quindi, da par suo, si inventò uno stratagemma alquanto perfido e arguto per interrompere i lavori: con i suoi superpoteri, fece in modo che gli uomini iniziassero a parlare mille idiomi diversi e che quindi non fossero più in grado di comunicare e di portare a compimento la torre.

Riflettendoci un attimo, non si può negare la semplice genialità della cosa. In effetti (puoi chiederlo a qualunque carpentiere, caro utente imprenditore edile) se qualcuno ti spiega in ceco che cosa devi fare con un mattone, sarà difficile che tu riesca a capirlo se parli solo bergamasco stretto.

Il problema si rivelò dunque insormontabile, l'ideona fallì miseramente come quella del ponte sullo stretto di Messina e gli uomini — vistosi impossibilitati a muoversi in verticale perché c'era quello lassù che c'aveva le palle girate — si dovettero accontentare e optarono per la diffusione orizzontale, spargendosi così per il mondo. Praga (anche se non c'era il mare) e Bergamo compresi.

Poteva finire qui. E questa essere la conclusione dignitosa di una storia triste. E invece no.

L'inizio della fine

Che agli umani, non gli era andato proprio giù questo scherzo del principale, e allora pensarono bene di cautelarsi, per far sì che in futuro non si ripetesse una situazione simile a quella lì della Mesopotamia e tutto il resto.

Non si sa bene di chi fu la colpa, o il brevetto: tutte le carte e i documenti sono andati bruciati nell'incendio di quel famoso monastero benedettino di quel posto lassù che ora non mi ricordo il nome ma lo racconta per filo e per segno Umberto Eco ne Il Nome della Rosa. Fatto sta che inventarono le emoticon, gli uomini. E fu l'inizio della fine.

Le emoticon son quelle cose che succedono tra i giovanotti d'oggi, che alla fine di una frase che considerano divertente, invece di scriverci "ah! ah! ah!", ci mettono una faccina che ride, mentre il "sigh! sigh!" o il "sob! sob!" diventano una faccina che piange. Cose così.

Ora — a voler essere ottimisti (quasi mai il mio caso) — il boom di questa roba qua che si son inventati gli umani dopo quella storia di Babele, potrebbe quasi essere letto come un ritorno all'antico linguaggio del corpo, traslato in una forma digitale che sia facilmente fruibile da chiunque. E scusate se mi sono avvalso del buon vecchio suono onomatopeico invece di metterci il disegnino di una bomba che esplode, ma sapete, noi anziani si legge Topolino.

Detta in parole semplici: un volto sorridente è un volto sorridente, sia per il cuoco del ristorante cinese, che per il pakistano sotto casa, che per la tua fidanzatina ceca, caro utente chat-lover. E tutto ciò può sembrare molto confortante, così a prima vista.

I problemi arrivano tutti insieme quando ti accorgi che il cuoco non c'è mai, online su MSN, il che è un peccato. O che il pakistano sotto casa c'ha sempre la stessa faccia e pare interessato esclusivamente ad uno scambio di opinioni che si esaurisce nella transazione birramoretti-uneuroesessanta. O quando ti lasci con la tiza di Praga e ti metti con una di Bergamo, che vorresti provarci a dirle "ti amo" in italiano, ma ormai sei così drogato di faccine che non ti esce una parola, e rimani lì con un'espressione ebete.

Ma così ebete. Così ebete che non c'è, un'emoticon capace di descriverla.

Troppe emozioni
Tempo di innamorarsi